Lo abbiamo pensato tutti almeno una volta: “E se facessi scrivere i post social all’intelligenza artificiale?”
Una tentazione legittima. L’AI scrive bene, lo fa velocemente e lo fa a qualsiasi ora. E se ci metti un buon prompt, sa essere anche accattivante.
Ma il punto non è se può farlo. È piuttosto quando e se lasciarglielo fare.
Cominciamo con le opportunità: usare l’intelligenza artificiale nella gestione dei social può alleggerire molte attività: può riassumere testi, correggere refusi, trasformare post noiosi in copy brillanti. Può persino organizzare un piano editoriale coerente, se le diamo i giusti riferimenti su target e stagionalità. È come avere un’assistente infallibiile: non dorme, non sbuffa, non sbaglia la grammatica (e non rompe).
Il problema nasce quando da assistente la vogliamo far diventare autore. Lì iniziano i rischi. Perché l’AI genera contenuti perfetti, sì, ma anche perfettamente simili a quelli che genera per chiunque altro. Avete presente l’invasione di immagini in stile “Studio Ghibli” che ha travolto i social qualche mese fa? Bellissime, certo, ma alla lunga indistinguibili. Tutti le usavano, tutti si somigliavano, tutti finivano per sparire nel rumore di fondo.
Usare l’AI in modo indiscriminato porta esattamente lì, a contenuti tutti uguali, replicati, prevedibili, intercambiabili. Il contrario di quello che serve per emergere in un mondo dove ogni brand cerca differenziazione e unicità. E non parliamo solo di estetica: anche i testi generati con gli stessi strumenti rischiano di suonare uguali. O peggio: suonare come quelli dei tuoi concorrenti.
Allora? Si butta tutto? No.
L’AI resta uno strumento utilissimo, ma è bene ricordare chi fa cosa.
L’AI è la tela. Il social media manager è il pittore.
L’una fornisce supporto e struttura, l’altro ci mette l’intuizione, l’ironia, il tono di voce. L’umanità, insomma. Che non è un vezzo, ma una necessità per fare comunicazione che lascia il segno.